Intervento in aula di Michele Piras nel corso della Seduta alla Camera dell’ 11 Maggio 2015

di  Michele  Piras

Grazie, Presidente. Colleghi, esponenti del Governo, mi viene in mente una metafora, pensando alla mia terra, che è quella di un muro che, poniamo, sia alto 1,70 metri. Dietro quel muro c’è un ragazzo di 1,75 metri e un bambino di 1,30 metri. Entrambi sono liberi, in via teorica, di guardare oltre quel muro che cosa c’è. È del tutto ovvio che solo uno effettivamente può farlo ed è il ragazzo alto 1,75 metri.

Io mi rendo conto che la metafora dell’altezza, parlando di Sardegna, forse per ciò che si dice di noi sardi, possa essere anche ironica e, tuttavia, forse anche l’ironia ci sta, dato che io debbo ammettere, in quest’Aula, che da qualche tempo a questa parte provo un’intolleranza piuttosto accentuata rispetto alla politica e ai politici che descrivono la crisi, che citano le cifre, i numeri, i casi, gli esempi della crisi. Forse, perché di questi tempi, ad esito di una delle crisi più lunghe, la crisi più lunga dal secolo scorso ad oggi che abbia mai colpito l’Occidente e questo Paese, io credo che ogni famiglia, ogni persona sappia che cos’è la crisi, perché la vive nelle proprie case, perché l’avverte sulle proprie viscere, perché ciascuno ha un familiare che non ha lavoro, che è precario, che rischia di perderlo, che lo potrebbe perdere domani, perché ciascuno conosce – e tanto più nella mia terra – che cosa vuol dire l’emigrazione, come fu per mio padre nel 1960, per mia madre nel 1962, per i miei nonni, come fu per intere generazioni che si videro ingiustamente costrette a lasciare la loro terra, da tutto il meridione e anche dalla Sardegna.

 

Io credo che il punto che bisognerebbe affermare sia un altro, perché, se noi scioriniamo i numeri della crisi, c’è sempre qualcuno che ti dice che è più in crisi di te. A giudicare, ad esempio, dal crollo del PIL nella mia regione, si potrebbe dire che ci sono altre regioni che hanno perso più PIL della Sardegna. Sui numeri della disoccupazione c’è una concorrenza che non può essere giocata sulle spalle delle persone e sulle condizioni materiali delle persone.

Allora, io penso che il punto sia il muro, il punto sia summum ius summa iniuria, come avrebbe detto Cicerone, cioè che, quando una norma, un diritto, pur affermato, non tiene conto delle specificità di un contesto, non tiene conto delle condizioni concrete e materiali nelle quali questo diritto si dovrebbe poter esercitare o quella condizione specifica dà, io credo che in quel medesimo istante si commette un’ingiustizia, pure quando il diritto teoricamente sembrerebbe perfetto. Questo è un po’ quello che le regioni meridionali – e anche la mia – sicuramente avvertono in ordine a quello che è successo in questi anni, anche a seguito, diciamo, di un’omogeneizzazione senza capacità di tener conto delle specificità delle dimensioni locali, imposteci, ad esempio, dall’Europa cui l’Italia fa seguito.

La mia è una terra di un’irrisolta specificità, che va da sé, quella geografica e fisica, che si vede, insomma, perché è un’isola.

Diceva Emilio Lussu: è l’unica isola d’Italia. Non per fare torto ad altre, ma perché, in qualche maniera, culturalmente, oltre che socialmente ed economicamente, differente. La specificità della questione sarda, così come lo era per Gramsci, è per me qualcosa di diverso dalla questione meridionale, qualcosa di diverso dalle altre grandi questioni che ci sono in questo Paese. Non da mettere prima e in testa: da mettere al pari delle altre nell’agenda di un Governo come grande questione nazionale.

Ed è questa specificità, il nucleo della crisi in Sardegna, che, probabilmente, per limiti nostri, di noi rappresentanti di quel popolo in quest’Aula, o forse per scarsa capacità di cogliere la profondità di quella crisi, che i miei colleghi continentali non riescono a capire fino in fondo; a cogliere sì, ad ascoltare certo, a capire fino in fondo credo di no. Ed è sicuramente demerito nostro, non demerito di qualcun altro, se non riusciamo a spiegarla; è demerito nostro.

La Sardegna è una terra straordinaria, una terra di grandi bellezze, di grande fascino, di grandi potenzialità inespresse. Anche qui mi viene in mente una metafora ridicola: noi abbiamo un treno, detto «superveloce», parcheggiato alla stazione di Cagliari, che è stato acquistato su decisione di una giunta di qualche tempo fa, commissionato. È arrivato in questi ultimi mesi, è fermo alla stazione di Cagliari: dovrebbe percorrere la tratta Cagliari-Sassari in due ore. È fermo alla stazione di Cagliari causa linea ferroviaria sabauda; sabauda perché quella è rimasta da quando l’hanno costruita ed è rimasta precisamente nella stessa percentuale assolutamente inferiore alla dotazione infrastrutturale di ferrovie del resto delle regioni d’Italia.

Quel treno è fermo: vorrei, ma non posso; ho la potenzialità, ho il pane, ma non ho i denti. Questa è un po’ la cosa che fa rabbia della mia isola: è un’isola di grande potenzialità inespresse, perché nessuno si dispone nell’ottica di pensare che quella terra è irrisolvibilmente diversa, vive una condizione irrisolvibilmente diversa rispetto alle altre regioni d’Italia.

 

PRESIDENTE. Scusi, onorevole Piras. Onorevole Centemero !

 

MICHELE PIRAS. E allora da qui bisognerebbe partire, da una politica che tenga conto di quella specificità. Qui non veniamo a portare i cahiers de doléances, non siamo alla rivendicazione ottocentesca. Ciò che si chiede è di essere messi nelle condizioni – come altri, non più di altri, ma neanche meno – di esercitare il proprio diritto allo sviluppo, il proprio diritto al benessere, il proprio diritto all’autodeterminazione.

E, quando in quest’Aula o nei dibattiti politici si mette in discussione la specialità

dell’isola sul piano costituzionale, mi arrabbio, altri si arrabbiano, perché, in passato, ce ne sono volute di lotte per l’emancipazione di un popolo, per l’affermazione della parità di diritti di un popolo, per ottenere quello Statuto speciale, e ce ne sono volute di rinunce.

Allora, il dramma della Sardegna non è solamente la crisi: nel 1984 Enrico Berlinguer, nella sua ultima visita in Sardegna, in una delle sue ultime visite pubbliche prima del tragico comizio di Padova, sbarcò in Sardegna e parlò di crisi, nel 1984 ! La crisi è una cosa, la desertificazione è un’altra. Esiste un bellissimo testo, di cui consiglierei la lettura: è un testo di sociologia economica, che analizza quella che è stata la vicenda economica in Sardegna dal secondo dopoguerra ad oggi, del professor Gianfranco Bottazzi dell’Università di Cagliari, che sostiene la tesi, che, a ben vedere, è vera, che la Sardegna, nel secondo dopoguerra, sia stata la regione d’Italia – sembrerebbe un paradosso – che più rapidamente è cresciuta, che più rapidamente si è trasformata.

Quella trasformazione economica possente, arrivata attraverso i piani di rinascita, ha talmente profondamente e rapidamente trasformato la struttura economica, sociale e culturale, e poi anche quella politica, della mia isola che non ha dato il tempo neanche ai sardi di sostituire la cultura tradizionale con un nuovo modello culturale, forse anche perché nelle condizioni di farlo, anche qui, non siamo stati messi mai.

Non ci è stato dato il tempo. Così repentino, quanto lo sviluppo della Sardegna, è stato il crollo di quel sistema produttivo retto e foraggiato dal sistema delle partecipazioni statali, dall’immissione di risorse pubbliche nell’economia. C’era la crisi nel 1984 e non ci si è mai occupati di una cosa che precipitava. Oggi, al precipitare altrettanto rapido, nel giro di una decina d’anni, di tutto il sistema produttivo sardo, ci si ritrova non solamente con la desertificazione economica, ma ci si ritrova in una crisi psicologica di proporzioni enormi che sta portando i sardi o al rinchiudersi a casa o a fuggire dall’isola o, comunque, ad esprimere una rabbia che anche – senza giustificazione – nel moltiplicarsi degli attentati, nella recrudescenza del fenomeno degli attentati nei confronti degli amministratori pubblici, è del tutto evidente.

Allora, su questa crisi, su questa desertificazione, su questo stato di cose, credo che serva un’azione forte da parte del Governo nazionale, serva il riconoscimento, serva il sostegno, serva l’elaborazione, insieme all’Europa, di norme specifiche che consentano ai sardi di esercitare il diritto allo sviluppo e all’autodeterminazione, altro non ci può essere (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà) !

 

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